domenica 5 ottobre 2025
JOKER: Folie à deux di Todd Philips
Il Joker di Todd Philips, con Joaquin Phoenix, nella parte del clown assassino tratto dai fumetti di Batman, uscì nel 2019, sbancando Mostra di Venezia, Oscar e botteghino.
Il secondo capitolo arriva dopo 5 anni in cui ci sono stati una Pandemia globale, due gravissimi conflitti ancora in corso, due campagne elettorali con Trump protagonista, e molto altro.
E arriva, a differenza del primo, come un flop di pubblico e di critica. Eppure, come il primo, e forse meglio, è un film che parla tantissimo al nostro presente.
Difficile definirlo un sequel nella tradizionale logica dei cinecomic. E' completamente diverso dal capostipite per costruzione della storia, ritmo, finalità. Lo hanno definito un musical innanzitutto, sfruttando in pieno e positivamente la presenza della comprimaria Lady Gaga., differenziandolo dal precedente, che aveva lo Scorsese degli anni settanta come riferimenti cinematografici , da Taxi Driver a Re per una notte.
Eppure Folie à deux prosegue la storia di Arthur Fleck/Joker, magistralmente interpretato da Phoenix, esattamente dove finiva il primo, proseguendone la storia. Anzi, il senso dei due film può essere compreso meglio considerandoli un'unica opera.
Il primo è il viaggio che compie Arthur Fleck per diventare Joker, il secondo è il viaggio inverso. E il tutto messo insieme assume quel senso che non si compiva del tutto nel film 2019.
Fleck e Joker non sono due personalità all'interno della stessa persona malata, ma il secondo è la maschera che il primo costruisce per reagire alle ingiustizie della vita e della società.
L'uno è l'ombra dell'altro, come suggerisce il cartone stile anni 40 che introduce Folie à deux,
ma è Joker l'ombra che viene osannata dalla folla arrabbiata con le istituzioni per aver abbandonato gli ultimi.
Ma l'essere un'icona rischia di schiacciare la persona quanto un'istituzione carceraria. A nessuno interessa il perdente Fleck, nemmeno la donna che si dichiara innamorata di Joker. E se lui abbandona la sua maschera, tutti si sentiranno traditi, e la rabbia verso le istituzioni sarà rivolta verso di lui.
Ecco perché Folie à deux parla al nostro presente, parla a quella folla di spettatori inferociti perché il secondo episodio è diverso dal primo; perché non finisce con una catartica strage da parte del ridente clown con la sua alleata/amata; perché forse alla fine non hanno più un'icona grafica da far girare come simbolo di una populista e demagogica lotta alle istituzioni, come un Guy Fawkes qualunque; perché i nerd si sfogano sui social non riuscendo a incastrare il personaggi onel continuum di una marea di film e e fumetti.
Sono inferociti perché qui si trovano di fronte ad un film d'autore, che ha un valore in sé, e non per le aspettative che avevamo in esso, ma perché coraggiosamente le tradisce tutte.
Il film parla al nostro presente fatto di crisi sociali e politiche, in cui tutte le opinioni vengono estremizzate anche per colpa della polarizzazione attuata dai social. E di fronte a queste crisi ci suggerisce che forse avremo bisogno solo di un po' di empatia che il disgraziato e disprezzato Arthur Fleck possiede, al contrario della sua ombra.
Dune Parte Due- di Denis Villeneuve
Il sequel del Dune di Villeneuve, che chiude la trasposizione filmica del romanzo più celebre di Frank Herbert, è arrivato al cinema con un'attenzione mediatica maggiore attenzione rispetto al suo predecessore. Merito sicuramente del successo di quest'ultimo, che ha riaperto le porte al mondo di questa saga letteraria, ma anche dell'accresciuta celebrità negli anni dei due protagonisti, Timothée Chalamet e Zendaya.
Attorno a loro nuovamente il cast di tutto spessore già visto nel primo (con qualche ingresso in più), ma almeno stavolta il tutto non risulta una fredda parata di celebrità, in quanto la trama si fa qui più avvincente e si fa meno schiacciare dalle facce note che passano sullo schermo. Piuttosto è un peccato che tanti talenti siano un po' sprecati in ruoli granitici, come l'epica chiede, ma monocordi.
Per il resto la messa in scena fatta dal regista si migliora rispetto al primo, se fosse possibile, soprattutto per quanto riguarda tutto il comparto tecnico delle scenografie, musiche, costumi, fotografia e montaggio, dando nuovamente una degna rappresentazione del mondo Hebertiano.
E rispetto a questo mondo, il regista si prende qualche libertà, anticipando tematiche del secondo romanzo della serie (Il Messia di Dune) e cambiando il finale. E così la trama non si riduce ad un'epica battaglia tra le forze del bene e del male, ma inserisce problematiche relative alla commistione tra ideali politici e religione, tra leader carismatici e guerre sante (tutti preludi di carneficine), problematiche che nel film sono in seno al protagonista e a quasi tutti coloro che gli stanno intorno.
Tant'è che alla fine la sua compagna Chani farà un altro tipo di scelta, personale e politica, rispetto al romanzo. Cosa che da sicuramente valore al film, anche se farà infuriare qualche nerd ossessionato dallo spauracchio woke.
Un paragone doveroso va fatto anche con la versione pasticciata ma comunque cult girata da David Linch negli anni ottanta. Sicuramente i due film di Villeneuve sono più riusciti e più coraggiosi nel provare ad affrontare alcune tematiche, laddove Linch era costretto dalla produzione a portare a casa un blockbuster (poi mancato), però il suo film visivamente era sicuramente più originale, discostandosi da quanto c'era in giro all'epoca. Ed in esso è spezzare una lancia a favore di due elementi: i vermi giganti di Carlo Rambaldi, e il villain interpretato (per quanto male) da Sting avevano quel guizzo in più che manca alle nuove controparti.
Iscriviti a:
Commenti (Atom)

