martedì 18 dicembre 2018

CAPRI -REVOLUTION di Mario Martone

Con Capri Revolution, Martone porta a termine la sua personale trilogia sulla storia d'Italia, iniziata con Noi Credevamo, dedicato al Risorgimento, e proseguito con Il Giovane Favoloso, sulla vita e i tempi di Giacomo Leopardi. Con l'ultima opera ci porta nel mondo rurale del Sud Italia, all'indomani dell'esplodere della Prima Guerra Mondiale. Una giovane contadina, Lucia, interpretata da Marianna Fontana, s'imbatte in una sorte di comunità hippy ante litteram, tra le scogliere di Capri: liberi pensatori in un mondo totalmente retrogrado. Dall'incontro con questi giovani, Lucia sarà in grado di scoprire se stessa, ma pagando il prezzo del distacco dalla sua famiglia. Affresco sulla libertà individuale e sulle ideologie che attraversavano l'Europa prebellica, il film è una suggestiva ricostruzione di un mondo che ormai non c'è più. Peccato per le troppe semplificazioni nella trama, forse dovute ad un taglio sul montaggio originale. Solo così si può spiegare scatti repentini dell'evoluzione della protagonista, che nel giro di una scena sembra imparare alla perfezione l'inglese quando poco prima non sembrava nemmeno in grado di parlare l'Italiano. In ogni caso forse non il migliore Martone (tra i più recenti, Noi credevamo era un film ben più riuscito e coraggioso) ma un buon film nella media di un certo cinema italiano, di quello che quasi riesce a distinguersi da una fiction televisiva di lusso. Film presentato all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia; il 20 dicembre è il giorno di uscita nei cinema.

venerdì 14 dicembre 2018

BOHEMIAN RAPSODY di Brian Singer

Su Bohemian Rapsody, il film sulla storia dei Queen ed in particolare del compianto Freddie Mercury, bisogna premettere un paio di osservazioni. La prima: cinematograficamente in fondo è un film qualitativamente medio, con una trama fin troppo prevedibile nei suoi passaggi. La seconda: non è una fedele ricostruzione della storia di questo grandissimo gruppo. Il che non è per forza un peccato, visto che esistono sempre le esigenze da copione. Si può quindi passare sopra alle ricostruzioni fantasiose, anche se fa un po' storcere il naso in fatto che i Queen sopravvissuti, tra i produttori del film, abbiano lasciato passare nella trama un scioglimento mai esistito del gruppo dandone pure la colpa a Mercury. Fatte queste premesse, bisogna dire che Bohemian Rapsody è veramente imperdibile soprattutto per i fan della band inglese, ed anche per chi è appassionato di musica rock. I motivisono questi: 1) la colonna sonora: sembrerebbe una banalità sottolinearlo, visto che vengono proposte tutte le migliori hit di Mercury/May/Deacon/Taylor eseguite fino a metà degli anni ottanta; ma oltre alla bellezza delle canzoni, c'è anche il modo in cui vengono presentate, spesso nella loro fase di creazione, o nella ricostruzione di qualche concerto. Ed in ogni caso, sembrano venire fuori sempre nel momento giusto. La canzone giusta dei Queen al momento giusto: un po' come forse sarà capitato nella vita di ognuno di noi...
2) Non è solo un film biografico, ma dà anche il giusto peso alla bravura dei quattro e alla loro capacità creativa. Se dal punto di vista della ricostruzione storica ci si è presi molta libertà, pare invece essere molto centrato sul senso del lavoro musicale della band, sulle loro sperimentazioni e sulle loro capacità tecniche.
3) Rami Malek: sinceramente non l'ho trovato fisiognomicamente molto somigliante a Mercury (per dire, Brian May sembra interpretato da un suo clone), ma l'attore è stato bravissimo a ricreare il cantante nei movimenti, nell'estrosità e nella tenuta del palco. Oltre ad essere credibile nelle parti drammatiche. Malek è a tutti gli effetti la parte migliore del film, credendo nel suo ruolo in maniera convinta, e regalando al pubblico una sorta di reincarnazione di Freddie.
4) Il Live Aid: la ricostruzione dei venti minuti in cui i Queen tirarono giù il Wembley Stadium, durante il famoso concerto benefico, è perfetta: l'esecuzione delle canzoni (con l'audio originale), i movimenti di Freddie sul palco, la partecipazione del pubblico (ricreato con un'ottima computer grafica). Tutto riproduce quasi nei minimi dettagli quell'evento rock (basta confrontarlo su you tube per una verifica). Ma soprattutto riesce a riprodurre quell'emozione, quella empatia, quel rapporto con il pubblico oceanico, che Freddie e la band sapevano creare nei concerti.

domenica 9 dicembre 2018

TEATRO: SOLA IN CASA di Dino Buzzati -regia di Mauro Avogadro -con Michela Mocchiutti

Il destino scritto sulle carte di un'esuberante chiromante bussa alla porta dello studio della donna, e si manifesta nel corpo di un assassino. Questa in sintesi è la trama del breve ma straordinario monologo “Sola in casa”, scritto da Dino Buzzati. La piece era stata creata appositamente per la grande Paola Borboni, e debuttò per la prima volta nel lontano 23 maggio 1958 a Milano. Esattamente sessant'anni dopo, la cartomante “laureata” Iris, torna sul palco incarnata da Michela Mocchiuti. L'attrice, friulana di nascita e veneta di adozione, ha già avuto modo precedentemente di confrontarsi con la dura prova del monologo grazie a “Marzia su Roma”, da lei anche scritto, nel quale profetizzava l'avvento al governo dei pentastellati. Questa volta si affida, con bravura e intensità, invece al testo del grande scrittore bellunese; testo che, apparentemente semplice, oscilla costantemente tra un tono drammatico ed uno comico. La simpatia della protagonista, travolgente tra l'enorme chioma, il decollete, e gambe rette su lunghissimi tacchi, fa da contraltare ad un set claustrofobico, in attesa di una minaccia esterna come il fortino de Il deserto dei Tartari, ma prendendo anche elementi classici del thriller. A mescolar tutte queste suggestioni contribuisce efficacemente la regia affidata a Mauro Avogadro, già collaboratore di Luca Ronconi e direttore della Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Torino, attualmente regista e docente di interpretazione presso il Piccolo di Milano. Il risultato è un testo ironico, che sa prendersi gioco anche della cosiddetta “cultura alta”, riempendo la scena di “totem”, tra un gatto chiamato come il filosofo Platone, ed un lucertolone battezzato come il drammaturgo Ibsen. Un orologio rotto pare invece prendere in giro la razionalità dell'uomo moderno. Ben più lungimiranti sapranno essere le carte della chiromante, sebbene la loro padrona pare ad un certo punto perdere fiducia in loro (poi smentita). Giocosa è anche l'ambientazione “vintage” anni cinquanta, con Tipitipititso di Caterina Valente come colonna sonora. Ma ovviamente i temi della paura e della insicurezza parlano anche ai giorni nostri, anche se sono collaterali allo scopo principale del testo di Buzzati, cioè quello di una efficacissima, estrosa, tragicomica rappresentazione della solitudine. https://www.youtube.com/watch?v=dekiU-flZlY

martedì 30 ottobre 2018

22 LUGLIO (22 JULY) di Paul Greengrass - Un film sulla strage di Utøya

La recente vittoria dell'estremista di destra Bolsonaro alle elezioni Brasiliane è solo il più eclatante episodio di una tendenza politica internazionale: l'affermazione di leader politici e di partiti segnati dal populismo, razzismo e omofobia, e dal più becero senso di appartenenza nazionalistica e religiosa. In questo contesto risulta estremamente contemporaneo un film uscito di recente nella piattaforma Netflix e presentato sia alla Mostra del Cinema di Venezia che a quella di Toronto. Paradossalmente esso non ci racconta questo complicato 2018, ma di un episodio del passato, sebbene relativamente recente. Sette anni fa la Norvegia fu colpita da un attentato terroristico da parte di un giovane neo nazista, Andres Breivik. 22 LUGLIO (22 JULY) di Paul Greengrass racconta di quella carneficina, e del processo (non solo giudiziario), che ne seguì.
L'attacco, studiato sotto ogni minimo dettaglio, portò alla morte di settantasette persone, e moltissimi feriti. La maggior parte delle vittime era composta da giovanissimi ragazzi di sinistra, ospiti di un campeggio nell'isola di Utøya, organizzato dal Partito Laburista Norvegese. Questo gravissimo fatto di sangue ebbe nell'immediato un forte impatto in tutti i media, ma come spesso succede, dopo un po' di tempo scivolò nel dimenticatoio. Così come fu accantonato presto, a mio parere, anche dai commentatori politici e nelle organizzazioni della stessa sinistra europea, così duramente colpita, e così superficiale da non affrontare fino in fondo quello che era successo. L'elemento su cui il film vuole porre l'attenzione (ed evidenziato dal regista nelle sue interviste a Venezia), è che i contenuti politici dei documenti scritti e delle dichiarazioni dell'attentatore Breivik, all'epoca ritenuti farneticanti, sono di uso comune oggi presso molti leader alla guida di Paesi e Governi. E senza andare molto distante. Paradossalmente anche 22 LUGLIO, ha avuto, nel momento del passaggio alla Mostra del Cinema, un impatto mediatico potente ma troppo rapido. Probabilmente, pur essendo un buon film, ha pagato più di quanto dovuto alcuni suoi difetti, all'interno di una rassegna in cui la media delle pellicole era decisamente alta. Il film inizia potente, nel racconto dell'attentato, mescolando il linguaggio del film d'azione (Greengrass ha diretto parte della saga di Jason Bourne) con quello del film di denuncia. Nella seconda parte risulta forse più lento e retorico, e la scelta di far recitare in inglese gli interpreti crea un po' uno straniamento rispetto alla fedeltà di cronaca. Ciò nonostante, proprio nella seconda parte, e in due personaggi in particolare, il giovane attivista sopravvissuto e l'avvocato che difende il terrorista, troviamo l'appassionata visione del regista su quella che dovrebbe essere la lotta contro il nuovo fascismo globale. Infatti, il giovane e l'avvocato sono apparentemente su due trincee opposte, eppure concorrono entrambi alla difesa della democrazia.
Il ragazzo decide di non rinunciare alla vita e alla testimonianza di quello che ha vissuto e di quelli che sono i suoi valori. Il suo percorso nella riabilitazione fisica e psicologica, è anche il percorso di una società che non vuole rinunciare ai suoi principi. L'avvocato, politicamente schierato a sinistra, decide di accettare quella difesa d'ufficio così ingombrante perché la libertà si fonda anche sul diritto di ognuno ad un processo equo. “Le Democrazie devono vincere con i loro argomenti”, ha dichiarato Paul Greengrass “con le loro idee. Il nazismo non controllato porta alla guerra. Fino a vent'anni fa si poteva contenerlo. Ora questi limiti sono saltati, e la Democrazia non potrà essere difesa solo con le armi. Le idee del terrorista di Utoya sono ora ripetute da molti politici. Dobbiamo essere noi che non siamo d'accordo con questa visione del mondo a dover trovare le motivazioni e le argomentazioni per contrastarla. Rinunciare a questo impegno politico e culturale mette in serio pericolo tutti noi”....

martedì 4 settembre 2018

ROMA di Alfonso Cuaron

Cuaron dopo tante incursioni nello spazio e nel fantastico torna sulla terra girando un film legato alla sua infanzia. La Roma del titolo è un quartiere di Città del Messico e il film, ambientato negli anni settanta, la usa come ambientazione principale per raccontare la storia di una giovane domestica impiegata presso una famiglia della ricca borghesia. Più che per il messaggio (il conflitto di classe risolto con la solidarietà tra donne abbandonate dai loro uomini), il film (vincitore del Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2018) colpisce per la bellezza delle immagini e della fotografia, con un caldo e neorealista bianco e nero.

SUSPIRIA di Luca Guadagnino - BALLETTI E SPLATTER D'AUTORE

Una ballerina americana si presenta ad una scuola di danza nella Berlino degli anni settanta e degli attentati terroristici. Nella scuola però non si insegnano solo piroette, e i suoi misteri attirano l'attenzione di un vecchio psicanalista sopravvissuto allo sterminio nazista. Suspiria tiene alta l'attenzione con teste che esplodono, ballerine torturate, vecchie deformate e artigli cadaverici, tutto condito con sangue a litri e budella esposte. Ma su questo film pesa forse un po' troppo il fatto di essere un remake del film cult (a torto o a ragione) di Argento di quarant'anni fa. Pur omaggiando l'originale attraverso scenografie e fotografia, il cinema raffinato di Guadagnino appartiene ad un'altra dimensione, e può essere un limite se non riesce a produrre la tensione di cui il film necessita. In ogni caso interessante l'accostamento dell'orrore di finzione con quello del terrorismo e dell'olocausto. E Tilda Swinton perfetta nella parte dell'enigmatica insegnante di ballo.

sabato 1 settembre 2018

A STAR IS BORN di B. Cooper - MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2018

A Bradley Cooper il successo come attore non bastava. E così ha deciso di dirigere per la prima volta una pellicola, prendendo come soggetto un classico di Hollywood, E' NATA UNA STELLA, che ha avuto una versione per ogni generazione di spettatori. E qui forse sta il maggior limite del film. La prova degli attori è buona, con protagonisti lo stesso Cooper, e Lady Ga Ga perfetta nella parte, in un indovinato corto circuito tra personaggio dentro il film e personaggio fuori dal film. Aggiungiamo poi tra i ruoli secondari quella fantastica e sempre fissa faccia da roccia texana che è Sam Elliot. Le parti musicali poi sono semplicemente (per chi scrive) emozionanti, trascinando la prima (e migliore) parte della pellicola. È nella seconda parte, però, che il peso dell'ormai classica storia della ragazza qualunque destinata al successo, e del suo amato pigmalione destinato alla caduta, trascina tutto eccessivamente nel già visto. Eppure saprà strappare le emozioni allo spettatore più sensibile.

THE MOUNTAIN di R. Alverson -MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2018

Un ragazzo (Tye Sheridan)con un'espressione un po' lobotomizzata, ma senza essere lobotomizzato, poco dopo la morte del padre riceve la visita di un medico che esegue lobotomie in giro per gli ospedali. Il medico, che tempo prima aveva pure lobotomizzato la madre del protagonista, assume il ragazzo come assistente per fotografare pazienti prima e dopo la lobotomia. Tra questi, anche una ragazza di cui il giovane si innamora. Una volta lobotomizzata lei, per non essere di meno si fa fare pure lui una bella lobotomia. Viaggio nell'aspetto più deprimente (in tutti i sensi) degli USA degli anni cinquanta, con unico neo positivo la recitazione esuberante di Jeff Goldblum nella parte del medico. Ma Jeff stavolta non vale il prezzo della depressione.

FIRST MAN (IL PRIMO UOMO) di D. Chazelle -MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2018

Damien Chazelle torna al Cinema, a distanza di due anni da La La Land, con un biopic sull'astronauta Neil Armstrong, primo uomo a mettere piede sulla Luna con la storica missione Apollo. Il film viaggia su due livelli: da una parte le difficili prove a cui erano sottoposti questi “pionieri” spaziali, dall'altra il percorso personale del protagonista (Ryan Gosling, perfetto nella parte di questo ingegnere poco espansivo e sprofondato nel lavoro) e della sua famiglia. Pur essendo un po' lenta, la pellicola riesce a mescolare efficacemente lo spazio cosmico infinito, e la minacciosa precarietà delle claustrofobiche cabine di pilotaggio di queste missioni. Ma il regista non si limita a rappresentare un'epopea storica e spaziale; a fare da filo conduttore è anche il tema della elaborazione del lutto per la morte di un caro. Il viaggio verso la luna di Neil è anche il viaggio per ricongiungersi con la figlia scomparsa.

martedì 6 marzo 2018

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh

In un piccolo paese nel Missouri, una madre cerca giustizia, presso le sorde forze dell'ordine, per l'orribile uccisione della figlia. Questo è il plot di base del film che nella recente notte degli Oscar ha portato a casa le statuette per la migliore attrice protagonista (Frances McDormand) e per il miglior attore non protagonista (Sam Rockwell).Ma Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh, non è né un giallo né un thriller, come potrebbe far pensare una sintesi superficiale della sua trama. È invece un appassionato quadro della società statunitense, usando il più profondo pertugio dell'America Trumpiana come tela, in cui violenza, mancanza d'identità, crisi modello familiare, e retaggi culturali razzisti si mescolano in un cocktail esplosivo. In questa Spoon River dei giorni nostri, dramma e feroce ironia viaggiano efficacemente in maniera parallela, giostrati da un'immensa Frances McDormand nel ruolo della protagonista, che con le sue parole e le sue azioni sta al centro della frattura morale che colpisce la cittadina di Ebbing. La affianca una serie di bravi attori, da Peter Dinklage, a Woody Harrelson...ma è soprattutto Sam Rockwell, nella parte del poliziotto ebete e razzista, ad emergere con un'efficace interpretazione. In poco meno di due ore ognuno dei personaggi principali avrà un percorso di evoluzione. Infatti, pur nella rappresentazione di una società lacerata, il film comunque vuole darci la possibilità di una speranza, di una redenzione per questo spaccato di umanità, per quanto sempre esposto di fronte al baratro della violenza.

martedì 20 febbraio 2018

THE POST di S. Spielberg

Spielberg ha attraversato ormai tutti i generi del cinema. Forse mancherà ancora il western, ma al film sulle inchieste giornalistiche ci è arrivato. Parente stretto di Spotlight e Tutti gli uomini del presidente (al quale si collega idealmente quasi come un prequel), The Post narra la storia vera dei Pentagon Papers, un'indagine sul reale andamento della guerra in Vietnam tenuta nascosto dal governo degli Stati Uniti. A decidere di pubblicarla sul loro quotidiano saranno la proprietaria ed il direttore del Washinton Post negli anni settanta, interpretati rispettivamente da Meryl Streep e Tom Hanks.
La libertà dei giornali e il diritto dei cittadini ad essere informati contro la prepotenza dei governanti, che si trincerano dietro la ragione di stato, è la battaglia a cui si dedicano i protagonisti del film ed i suoi autori. Un film prodotto e girato velocemente, con gran maestria di regia e recitazione, e pensato non troppo velatamente per essere un atto di accusa contro la presidenza Trump (impossibile non pensare a Donald nelle inquadrature in cui Nixon delira contro i suoi “nemici”). L'altro perno tematico gira attorno al ruolo della Streep, imprenditrice in un'epoca ancora fortemente maschilista, sottolineando l'importanza delle conquiste fatte e da fare per la parità di genere. ….E comunque il meglio del film sta altrove. Mai prima di The Post un film si era concentrato così a fondo e poeticamente sulle fase di stampa, delle rotative dei giornali. Ovviamente parliamo degli anni settanta, in cui ogni giornale veniva “costruito analogicamente” lettera per lettera. I nastri trasportatori, le matrici, i macchinari, le vibrazioni che producevano alle mura, mescolati alla difficoltà nel costruire la notizia, confluiscono tutti in questo atto d'amore nei confronti della stampa “vecchio stile”, in contrapposizione alle news volatili ai tempi dei social.

THE SHAPE OF WATER (LA FORMA DELL'ACQUA) Di Guillermo del Toro

Il vincitore della Mostra di Venezia 2017 e tra i favoriti per gli Oscar 2018, e quindi simbolo del riscatto di un certo cinema di genere ma di qualità. Il film è una favola ambientata negli USA degli anni 50, una versione aggiornata de La Bella e la Bestia. Lo spunto può venire da King Kong (una creatura, strappata dal suo habitat selvaggio e portata nella civiltà, s'innamora di un'umana), ma il mostro viene direttamente dalla Laguna nera dell'omonimo film, tanto che potrebbe rappresentarne un sequel. Il tema di fondo è invece Spielberghiano, con i rappresentanti delle autorità statali e dell'esercito nella parte dei persecutori, e il diverso come vittima, come era in ET. Ma Shape of Water è anche un tipo fantascienza originale, che si fa strada tra romanticismo, eros, commedia, dramma, e addirittura nostalgia per i musical del passato. Il contesto è quello della Guerra Fredda ed il punto di vista è quello della protagonista, un'altra “diversa”, in quanto muta, i cui unici amici sono un artista gay che mal sopporta la vecchiaia, e una collega afro americana che mal sopporta il marito. Sarà la ragazza muta ad innamorarsi dell'uomo acquatico ed a combattere il fascismo che si può trovare tra le fila del potere anche quando è democratico. Del Toro, presidente di giuria della prossima Mostra del Cinema di Venezia, porta quindi sugli schermi un fantasy poetico, potente nelle immagini e nelle emozioni, parente stretto del suo Labirinto del Fauno, pur non raggiungendo gli stessi livelli.

lunedì 12 febbraio 2018

DOWNSIZING di Alexander Payne

Uno scienziato scopre il sistema per ridurre gli umani a pochi centimetri di altezza. La scoperta viene diffusa e applicata perché un'umanità rimpicciolita renderebbe più sostenibile la vita nel pianeta, ma soprattutto per i grandi business che seguirebbero. Le ingiustizie sociali del mondo presto però si replicheranno anche nella sua versione in scala. Paine, con Matt Damon protagonista, riporta sullo schermo un tema classico della fantascienza. Evita però l'aspetto avventuroso (tipo il confronto dell'uomo contro animali ormai diventati troppo grandi per lui), e si concentra invece sulla metafora sociale e sull'allegoria del capitalismo, non risparmiandosi qualche pernacchia a certi movimenti "green". Il riferimento è quindi più con il Gulliver di Swift che con Antman di Marvel. Purtroppo dopo i due terzi il film perde un po' di efficacia e non sa come finire. Splendidi comunque i personaggi della vietnamita Hong Chau e del vicino festaiolo interpretato da Christoph Waltz. (N. Da Lio)