domenica 22 dicembre 2019

PARASITE di Bong Joon-ho

Trovare un film oggi che sappia divertire, angosciare, ed allo stesso tempo porre un ragionamento critico sulla società di oggi non è facile.
Parasite di Bong Joon-ho ci riesce, meritandosi pienamente quindi il riconoscimento della Palma d'Oro ricevuta a Cannes.
Al centro di questo film troviamo una famiglia (padre, madre, figlio e figlia) di truffatori che vive letteralmente in un sotterraneo di una periferia coreana. Riusciranno, con vari escamotage più o meno scorretti, ad inserirsi come inservienti nella casa di una ricca famiglia (i “parassiti” del titolo). Sembra una truffa riuscita, finché non vi è un colpo di scena che destabilizza la situazione, trasformando quella che fino a quel momento era una commedia politicamente scorretta in un thriller fatto di suspense e di metafora sociale.
Il regista coreano già in Snowpiercer aveva fatto una rappresentazione delle disparità sociali, in cui lotta di classe aveva una rappresentazione fantascientifica. Qui invece ritorna al mondo reale in una raffigurazione grottesca, che ci racconta come l'assenza della lotta di classe, o della giustizia sociale, porti ad altre forme di alienazione, esclusione, sfruttamento e violenza. Un duro atto di accusa verso il capitalismo, che porta a fenomeni violenti tra i sud coreani (che più sono ricchi più sembrano presi da forme depressive), non molto diversamente dai loro cugini del nord, presi in giro in una delle scene. E ci racconta come tutti siano dei sommersi: i poveri per la loro condizione sociale, i ricchi per la loro condizione psicologica.

domenica 10 novembre 2019

C'ERA UNA VOLTA AD...HOLLYWOOD Di Quentin Tarantino

Per Tarantino la Hollywood di fine anni sessanta era come il vecchio west, e gli attori da B-movie e i loro stuntman i comboy di quel mondo.
Così infatti sembrano muoversi i protagonisti interpretati da Brad Pitt (lo stunt) e Leonardo Di Caprio (la ex-star), tra set cinematografici e ranch della frontiera. E l'arrivo di Pitt al ranch occupato dalla famiglia Manson (la setta che nel '69 compì degli omicidi tra cui quello dell'attrice Sharon Tate), ha tutti gli elementi del classico arrivo dello straniero giustiziere nell'ennesimo villaggio del far west che ha qualcosa da nascondere. Parallelamente Di Caprio nella parte dell'attore in crisi sembra un cow boy decadente in un western crepuscolare.
E non è un caso se è questo l'unico genere cinematografico in cui riesce a trovare ingaggi. 



Ma nonostante queste premesse, le continue citazioni di Sergio Leone, e il fatto che sia di Tarantino, questo è uno dei film del regista americano con meno azione, se si toglie l'esplosivo ultimo atto.
Infatti, alla fine, è forse la sua opera più personale, pensato in primis per essere un sentito tributo: da una parte un omaggio ad un mondo che non c'è più, dall'altra un omaggio ad una persona che non c'è più.
Il mondo che non c'è più è proprio quella fetta di immaginario composto da cinema di serie B, fatta in USA ma anche in Italia con registi come Corbucci, e da un pezzo di televisione con telefilm classici che pocco hanno a che fare con la serialità odierna di Netflix. E la stessa categorizzazione “di serie B”è più che altro una tipica caratterizzazione classista da società capitalista, in cui anche i critici più esperti a volte ci cadono. Tarantino non ci è mai cascato (al costo pure di rivalutare a volte ciò che non può essere rivalutato), ed è così che mette sullo schermo questa ballata di un “ultimo” che fa lo stuntman, vive in un camper, e fa da assistente ad un altro ultimo, attore fallito, che ha la villa a Bel Air, ma non se la può mantenere. La villa ovviamente è uno status symbol, e lì a fianco c'è chi il successo lo vive veramente: Roman Polanski e la sua bella moglie Sharon Tate. E poche colline più in là ci sono gli invasati figli dei fiori della Famiglia Manson che predicano libero amore ma che vogliono fare esplodere la società classista e guerrafondaia. Ma Tarantino non è Tim Burton, e non è nemmeno il Todd Philips di Joker, e per i freak non ha empatia. O almeno non per questi freak, visto che i loro omicidi hanno posto metaforicamente fine ai sogni degli anni sessanta.
La persona che non c'è più è Sharon Tate, la vittima più illustre di quei omicidi. L'omaggio che le fa Tarantino vale più di un classico biopic. Grazie anche alla bravura di Margot Robbie che la interpreta, qui la Tate diventa incarnazione della bellezza e della gioia del cinema. Basti la scena in cui va a vedere la stessa pellicola da lei interpretata, con la vera Sharon sullo schermo, e la Robbie in sala per capire come questo film sia una celebrazione di questa arte e di quella donna allo stesso tempo.
Peccato che questo personaggio non incontri, se non alla fine, Pitt e Di Caprio: Tarantino ha il pallino di non rispettare mai i canoni del racconto, affascinato dalle trame parallele che si limitano a sfiorarsi (Unglorious Basterds, Pulp Fiction), e non sempre è un pregio. Ma per il resto vi sono montaggio, fotografia e colonna sonora da manuale di cinema. Guardare C'era una volta ...ad Hollywood è una gioia appagante per chi ama i film, così come era fastidiosa la visione di Hateful Height.
Per la parte della recitazione non si può che incensare i tre attori protagonisti: la già citata Margot Robbie; Leonardo Di Caprio in un già collaudato personaggio schiavo degli eccessi; ma soprattutto Brad Pitt, mai così efficace dai tempi di Fight Club.
Sulla trama non scriviamo nulla di più, per evitare problemi a chi non lo ha ancora visto. Sappiate comunque che questo è un film ambientato nello stesso universo alternativo, creato da Quentin, in cui Hitler moriva ucciso in un attacco dentro un cinema. Per cui non date nulla per scontato.

sabato 7 settembre 2019

JOKER (VINCITORE LEONE D'ORO 2019)



La migliore risposta che la Warner-DC poteva dare al successo di Avengers Endgame della rivale Marvel.
Joker è un film delle origini sull'omonima nemesi di Batman. Ma stavolta in una versione realistica che concede poco all'immaginario fumettistico, pur collegandosi ampiamente al materiale di origine. Il riferimento di partenza non può non essere il Nolaniano Cavaliere Oscuro, ed il criminale interpretato magistralmente da Heath Ledger. Ma qui l'acceleratore viene schiacciato al massimo, per illustrare la strada che porta un cittadino sociopatico a diventare un criminale sociopatico. Il tutto guardando la storia dal punto di vista proprio del Joker, che alla fine si rivela essere una vittima ancor prima di carnefice. Vittima della struttura famiglia (che non lo salva dalle violenze) e dalla struttura società. Tutto il film sembra un grande j'accuse alla mancanza di empatia della società capitalista e dello show business che ne è lo strumento. Il film riesce quindi a parlare a tanti elementi della politica degli ultimi anni. Non un caso se il villain ad un certo punto sembra essere proprio il padre di Bruce Wayne, miliardario e candidato sindaco un po' allergico ai pezzenti.
Violenza esplosiva sebbene limitata in precisi episodi, in un'ambientazione tipicamente anni settanta, citando i primi film di Scorsese come Taxy Driver e Re per una Notte.
E su tutto un trionfante Joaquin Phoenix, bravissimo nel fare sintesi tra i disturbi mentali del protagonista e la figura disturbante del clown.
Unico neo: il film sarebbe stato perfetto se fosse finito cinque minuti prima con le immagini del trionfo dei Joker, invece che con un semi-rassicurante finale. 




JOKER
di TODD PHILLIPS
con Joaquin Phoenix, Robert De Niro / USA / 118’
VINCITORE DEL LEONE D'ORO MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2019

martedì 20 agosto 2019

VENT'ANNI FA USCIVA LA MINACCIA FANTASMA



L'attesa di un nuovo film di Star Wars; la curiosità di ritrovarsi in un mondo immaginario tanto amato, la curiosità per i più moderni effetti speciali; l'emozione di vedere completata un'epopea ormai entrata nella mitologia del cinema...
E poi gli spettatori si trovarono davanti un film lentissimo nella prima parte, con grandi attori che recitavano al minimo sindacale, incollati su bellissimi scenari in CGI, ma sempre incollati...un'epopea che doveva incominciare con un grandioso cappa e spada stellare, ed invece ci parla di mercanti che non vogliono pagare le tasse. E altro ancora. Ma soprattutto Jar Jar Bings.



Nel 1999 Star Wars tornava al cinema con Episodio 1 – La Minaccia Fantasma, ma, inutile forse scriverlo, fu per lo più una delusione.
Il fan si aspettava di ritornare al mondo di Luke e Leia, ma George Lucas aveva un progetto del tutto diverso per la nuova trilogia. Non voleva replicare la prima, ma raccontare la caduta di una democrazia verso la tirannia, e la caduta di un eroe verso la vendetta e la violenza.
Il presupposto era a dir poco ottimo, trattandosi di una serie di block buster. Peccato che, per esigenze di marketing che guardava soprattutto ad un pubblico giovanissimo, si infarcì il tutto di una quantità abnorme di effetti speciali e gag idiote messe in bocca a personaggi stupidi, che andavano in contrasto con i serissimi protagonisti. E, in rapporto a questi ultimi, c'è da ricordare soprattutto l'incapacità di Lucas di dirigere e far recitare a dovere il cast fantastico che si trovava tra le mani: Liam Neeson, Ewan McGregor, Natalie Portman....
In una scena un sottomarino viene assalito da un mostro, che viene fermato da un secondo gigantesco mostro che lo divora. Tre minuti dopo la scena si ripete con due creature diverse, così, giusto per spendere qualche milionata in computer grafica. In tutto questo Neeson e McGregor rimangono freddi come se non succedesse nulla intorno a loro. Una delle cose più tristi di tutta la saga Lucasiana.



Eppure qualcosa da salvare c'è in questo film delle origini. La battaglia finale su tre campi diversi in montaggio alternato ci restituisce lo spirito di Star Wars tanto amato. Ma soprattutto il duello con le spade laser è forse il più bello ad essere mai stato girato. Merito al cattivissimo ed efficace Dart Maul, ed a Neeson e McGregor, che almeno qui danno l'impressione di divertirsi. E ci sono alcuni elementi visivi nel film che erano e restano eccezionali, da rendere questo film un unicum rispetto a tutti gli altri della saga. Innanzitutto i vestiti e l'acconciatura della Regina Padme (Portman), debitori della cultura orientale, oggetti di tanto scherno, eppure potenti nella loro follia. E poi il caleidoscopio di colori nella città sommersa e nella battaglia finale: se il primo Guerre Stellari era figlio del '68 ma nato negli anni settanta, La Minaccia Fantasma ha in sé la policromia degli anni ottanta , anche se parlava in realtà dell'ultima decade dello scorso millennio.
Lucas ci avvertiva che le magnifiche sorti di quegli anni post muro di Berlino, le speranze di una crescita che non sembrava arrestarsi, la solidità di una superpotenza, avrebbero potuto essere messe facilmente in discussione. Così come realmente accadde. Così come ben ci rappresentò la sua metafora nei due film successivi (e anch'essi imperfetti).
Non era male l'idea, George, se solo non avessi incollato gli attori sul fondale...

domenica 23 giugno 2019

MATRIX HA VENT'ANNI

Pochi film di fantascienza, negli anni novanta dello scorso millennio, sono riusciti ad imporsi nell'immaginario collettivo.
In questa categoria va sicuramente inserito Matrix, il cui primo episodio uscì esattamente vent'anni fa. Una novità allora che riuscì ad avere un grande successo, anche se composto da elementi che tutto sommato di nuovo avevano poco.
Infatti, anche se tecnicamente Matrix non fa parte di quel calderone di sequel, adattamenti, remake di cui ormai abbonda il cinema fantasy e sci fi, ma è un opera originale, nata dalla mente dei suoi autori (le sorelle/registe Wachowski), è comunque fortemente debitore da altre creazioni.

In primis da tanta letteratura Cyberpunk anni ottanta, e poi da film (Terminator , Essi Vivono), fumetti (Ghost in the Shell), e altro ancora...Pure il tanto famigerato bullet time non è una esclusiva inedita, ma era stato anticipato l'anno prima dal quasi dimenticato primo Blade con Wesley Snipes.
A questo si aggiunge che era contemporaneo di tante pellicole in cui vi era lo scontro tra realtà “vera” e quella virtuale (il poco fortunato “Existenz” di Cronemberg in primis, ma anche il nostrano Nirvana, e altro ancora). Del resto erano gli anni in cui si pensava di fare cose incredibili con un visore ed un guanto collegato a dei sensori.
Insomma un film di sincretismo di generi, in cui la distopia si fondeva con arti marziali, realtà virtuale con il dominio delle macchine, e contemporaneamente un film di derivazione da altre opere, che però è riuscito, ciò nonostante, ad essere una boccata d'aria fresca per chi adora il cinema di fantascienza e d'azione.
Questo grazie anche alla quantità di scene spettacolari, diventate poi iconiche nella storia del cinema, capaci di influenzare l'immaginario audiovisivo negli anni successivi (Neo che si risveglia nel suo “utero” artificiale, Neo che schiva i proiettili, l'elicottero che si “tuffa” nel palazzo; e tanto altro ancora). Ma non solo: anche un film che ha portato avanti il livello della computer grafica. Mescolando poi il tutto con connessioni, un po' sempliciotte, ma ben inserite, alla filosofia (in primis, il mito della caverna di Platone).
Aggiungiamo un casting semplicemente perfetto, con Keanu Reeves (già “prescelto” nel Piccolo Buddah di Bertolucci, e già cyberpunk in Johnny Mnemonic), Carrie-Anne Moss, l'essenza dello stile che risponde al nome di Lawrence Fishburne, e Hugo Weaving nella parte del malefico villain Agente Smith (pronto ad esplodere poco dopo come il principe Elfico Elrond nella Trilogia del Signore degli Anelli).




E ciò nonostante il fenomeno di Matrix (a differenza di altre saghe come Star Wars o Harry Potter) durò pochi anni. Si parla ora di un remake o sequel, ma la sensazione è che su questa saga si sia calata da anni una certa freddezza.
Colpa forse anche del suo finale, che lasciava chiaramente aperta una finestra enorme per i due episodi successivi (Reloaded e Revolutions, ma che consegnava ad essi il protagonista Neo divenuto ormai onnipotente, rendendo quindi difficile una qualsiasi costruzione drammatica successiva. Con un protagonista più invincibile di Superman, diventa un po' difficile trovargli sfide da affrontare, e da qui la necessità di inserire nel copione scuse bislacche per toglierlo dai piedi: Neo spostato in un posto lontanissimo, Neo in coma, Neo accecato. E così già il secondo episodio risultò inevitabilmente deludente, puntando tutto sul ridare le meraviglie del primo episodio, ma amplificate dalla cgi e dai capitali. E il terzo episodio arrivò stanco, sebbene l'eroica battaglia per difendere la capitale dei buoni è qualcosa di visivamente e meravigliosamente epico anche oggi.
Molto meglio se la cavò la serie antologica animata (Animatrix), che riusciva ad utilizzare questo mondo per delle storie per la maggior parte originali e intriganti: non a caso i realizzatori di questo gioiellino erano tra i migliori registi di film di animazione dell'epoca.




Metafora di una società in trasformazione attraverso cellulari e internet, Matrix compie quest'anno la bellezza di vent'anni. Le cabine telefoniche che i suoi protagonisti utilizzavano per balzare dal mondo virtuale al mondo reale sono ormai archeologia. Eppure Matrix può essere considerato una piccola metafora anticipatrice di come viviamo oggi. Mai come ora siamo immersi nella rete, in un mondo di relazioni virtuali regolate da applicazioni sullo smartphone. Tanta “connessione” è forse un riparo da un mondo che se la cava molto peggio rispetto al 1999, un mondo oggi in cui molti vanno alla ricerca dei “prescelti” liberatori da qualche cattiva entità che ci opprime. Solo che questi liberatori (sovranisti?) hanno poco in comune con il personaggio eroico interpretato da Keanu Reeves. Ma tolto questo ultimo particolare, Matrix nel suo piccolo è stato profetico.

giovedì 7 marzo 2019

Oggi vent'anni senza Kubrick


Publicity photo of Stanley Kubrick for A Clockwork Orange

Vent'anni dalla morte di Stanley Kubrick: un tempo lunghissimo per un regista ancora attuale, diventato iconico come i suoi film. Poche opere girate in 45 anni di carriera, ognuna di un genere cinematografico diverso. Ma per ciascuno di quei generi c'è stato un prima e un dopo Kubrick. 
Nessun premio a Cannes, nessun Golden Globe vinto, l'unico Oscar conquistato è stato per gli effetti speciali di  2001 (all'epoca decenni avanti  su qualsiasi altro film contemporaneo).  Un solo Leone d'oro a Venezia, alla carriera, consegnato due anni prima della sua morte. Avvenuta a pochi mesi dall'uscita del suo ultimo film, Eyes Wide Shut: all'epoca personalmente fu una mezza delusione. A rivederlo oggi mi sembra immenso: semplicemente anche quella pellicola era in anticipo sui tempi, quasi una profezia sul nostro presente. 

sabato 26 gennaio 2019

LA FAVORITA di Yorgos Lanthimos


Nel film del regista greco Lanthimos Emma Stone e Raquel Weisz rivestono il ruolo di due (bellissime, è il caso di dirlo) dame inglesi realmente esistite all'inizio del settecento. Entrambe sono impegnate in una lotta tutta politica tra di loro, ma usando armi non solo (o quasi mai) politiche, per conquistare i favori della regina Anna d'Inghilterra.

Gustosa rappresentazione sul potere, in un film dal buon ritmo che sa dispensare risate dai denti aguzzi.
Quasi da non credere che il regista sia lo stesso del noioso Il sacrificio del cervo sacro. 

Il film ha già fatto il pieno di nomination agli Oscar, e dalla Mostra del Cinema di Venezia 2018 ha già portato a casa il Leone d'Argento e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, consegnato alla brava Olivia Colman nel ruolo della Regina.

Titolo originale: The Favourite. Regia di Yorgos Lanthimos. Con Emma Stone, Rachel Weisz, Olivia Colman, Nicholas Hoult, Joe Alwyn, Mark Gatiss. Genere Biografico - Grecia, 2018 - Durata 120 minuti.