Trovare un film oggi che sappia
divertire, angosciare, ed allo stesso tempo porre un ragionamento
critico sulla società di oggi non è facile.
Parasite di Bong Joon-ho ci riesce,
meritandosi pienamente quindi il riconoscimento della Palma d'Oro
ricevuta a Cannes.
Al centro di questo film troviamo una
famiglia (padre, madre, figlio e figlia) di truffatori che vive
letteralmente in un sotterraneo di una periferia coreana.
Riusciranno, con vari escamotage più o meno scorretti, ad inserirsi
come inservienti nella casa di una ricca famiglia (i “parassiti”
del titolo). Sembra una truffa riuscita, finché non vi è un colpo
di scena che destabilizza la situazione, trasformando quella che fino
a quel momento era una commedia politicamente scorretta in un
thriller fatto di suspense e di metafora sociale.
Il regista coreano già in Snowpiercer
aveva fatto una rappresentazione delle disparità sociali, in cui
lotta di classe aveva una rappresentazione fantascientifica. Qui
invece ritorna al mondo reale in una raffigurazione grottesca, che ci
racconta come l'assenza della lotta di classe, o della giustizia
sociale, porti ad altre forme di alienazione, esclusione,
sfruttamento e violenza. Un duro atto di accusa verso il capitalismo,
che porta a fenomeni violenti tra i sud coreani (che più sono ricchi
più sembrano presi da forme depressive), non molto diversamente dai
loro cugini del nord, presi in giro in una delle scene. E ci
racconta come tutti siano dei sommersi: i poveri per la loro
condizione sociale, i ricchi per la loro condizione psicologica.
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