venerdì 14 dicembre 2018

BOHEMIAN RAPSODY di Brian Singer

Su Bohemian Rapsody, il film sulla storia dei Queen ed in particolare del compianto Freddie Mercury, bisogna premettere un paio di osservazioni. La prima: cinematograficamente in fondo è un film qualitativamente medio, con una trama fin troppo prevedibile nei suoi passaggi. La seconda: non è una fedele ricostruzione della storia di questo grandissimo gruppo. Il che non è per forza un peccato, visto che esistono sempre le esigenze da copione. Si può quindi passare sopra alle ricostruzioni fantasiose, anche se fa un po' storcere il naso in fatto che i Queen sopravvissuti, tra i produttori del film, abbiano lasciato passare nella trama un scioglimento mai esistito del gruppo dandone pure la colpa a Mercury. Fatte queste premesse, bisogna dire che Bohemian Rapsody è veramente imperdibile soprattutto per i fan della band inglese, ed anche per chi è appassionato di musica rock. I motivisono questi: 1) la colonna sonora: sembrerebbe una banalità sottolinearlo, visto che vengono proposte tutte le migliori hit di Mercury/May/Deacon/Taylor eseguite fino a metà degli anni ottanta; ma oltre alla bellezza delle canzoni, c'è anche il modo in cui vengono presentate, spesso nella loro fase di creazione, o nella ricostruzione di qualche concerto. Ed in ogni caso, sembrano venire fuori sempre nel momento giusto. La canzone giusta dei Queen al momento giusto: un po' come forse sarà capitato nella vita di ognuno di noi...
2) Non è solo un film biografico, ma dà anche il giusto peso alla bravura dei quattro e alla loro capacità creativa. Se dal punto di vista della ricostruzione storica ci si è presi molta libertà, pare invece essere molto centrato sul senso del lavoro musicale della band, sulle loro sperimentazioni e sulle loro capacità tecniche.
3) Rami Malek: sinceramente non l'ho trovato fisiognomicamente molto somigliante a Mercury (per dire, Brian May sembra interpretato da un suo clone), ma l'attore è stato bravissimo a ricreare il cantante nei movimenti, nell'estrosità e nella tenuta del palco. Oltre ad essere credibile nelle parti drammatiche. Malek è a tutti gli effetti la parte migliore del film, credendo nel suo ruolo in maniera convinta, e regalando al pubblico una sorta di reincarnazione di Freddie.
4) Il Live Aid: la ricostruzione dei venti minuti in cui i Queen tirarono giù il Wembley Stadium, durante il famoso concerto benefico, è perfetta: l'esecuzione delle canzoni (con l'audio originale), i movimenti di Freddie sul palco, la partecipazione del pubblico (ricreato con un'ottima computer grafica). Tutto riproduce quasi nei minimi dettagli quell'evento rock (basta confrontarlo su you tube per una verifica). Ma soprattutto riesce a riprodurre quell'emozione, quella empatia, quel rapporto con il pubblico oceanico, che Freddie e la band sapevano creare nei concerti.

domenica 9 dicembre 2018

TEATRO: SOLA IN CASA di Dino Buzzati -regia di Mauro Avogadro -con Michela Mocchiutti

Il destino scritto sulle carte di un'esuberante chiromante bussa alla porta dello studio della donna, e si manifesta nel corpo di un assassino. Questa in sintesi è la trama del breve ma straordinario monologo “Sola in casa”, scritto da Dino Buzzati. La piece era stata creata appositamente per la grande Paola Borboni, e debuttò per la prima volta nel lontano 23 maggio 1958 a Milano. Esattamente sessant'anni dopo, la cartomante “laureata” Iris, torna sul palco incarnata da Michela Mocchiuti. L'attrice, friulana di nascita e veneta di adozione, ha già avuto modo precedentemente di confrontarsi con la dura prova del monologo grazie a “Marzia su Roma”, da lei anche scritto, nel quale profetizzava l'avvento al governo dei pentastellati. Questa volta si affida, con bravura e intensità, invece al testo del grande scrittore bellunese; testo che, apparentemente semplice, oscilla costantemente tra un tono drammatico ed uno comico. La simpatia della protagonista, travolgente tra l'enorme chioma, il decollete, e gambe rette su lunghissimi tacchi, fa da contraltare ad un set claustrofobico, in attesa di una minaccia esterna come il fortino de Il deserto dei Tartari, ma prendendo anche elementi classici del thriller. A mescolar tutte queste suggestioni contribuisce efficacemente la regia affidata a Mauro Avogadro, già collaboratore di Luca Ronconi e direttore della Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Torino, attualmente regista e docente di interpretazione presso il Piccolo di Milano. Il risultato è un testo ironico, che sa prendersi gioco anche della cosiddetta “cultura alta”, riempendo la scena di “totem”, tra un gatto chiamato come il filosofo Platone, ed un lucertolone battezzato come il drammaturgo Ibsen. Un orologio rotto pare invece prendere in giro la razionalità dell'uomo moderno. Ben più lungimiranti sapranno essere le carte della chiromante, sebbene la loro padrona pare ad un certo punto perdere fiducia in loro (poi smentita). Giocosa è anche l'ambientazione “vintage” anni cinquanta, con Tipitipititso di Caterina Valente come colonna sonora. Ma ovviamente i temi della paura e della insicurezza parlano anche ai giorni nostri, anche se sono collaterali allo scopo principale del testo di Buzzati, cioè quello di una efficacissima, estrosa, tragicomica rappresentazione della solitudine. https://www.youtube.com/watch?v=dekiU-flZlY