martedì 30 ottobre 2018

22 LUGLIO (22 JULY) di Paul Greengrass - Un film sulla strage di Utøya

La recente vittoria dell'estremista di destra Bolsonaro alle elezioni Brasiliane è solo il più eclatante episodio di una tendenza politica internazionale: l'affermazione di leader politici e di partiti segnati dal populismo, razzismo e omofobia, e dal più becero senso di appartenenza nazionalistica e religiosa. In questo contesto risulta estremamente contemporaneo un film uscito di recente nella piattaforma Netflix e presentato sia alla Mostra del Cinema di Venezia che a quella di Toronto. Paradossalmente esso non ci racconta questo complicato 2018, ma di un episodio del passato, sebbene relativamente recente. Sette anni fa la Norvegia fu colpita da un attentato terroristico da parte di un giovane neo nazista, Andres Breivik. 22 LUGLIO (22 JULY) di Paul Greengrass racconta di quella carneficina, e del processo (non solo giudiziario), che ne seguì.
L'attacco, studiato sotto ogni minimo dettaglio, portò alla morte di settantasette persone, e moltissimi feriti. La maggior parte delle vittime era composta da giovanissimi ragazzi di sinistra, ospiti di un campeggio nell'isola di Utøya, organizzato dal Partito Laburista Norvegese. Questo gravissimo fatto di sangue ebbe nell'immediato un forte impatto in tutti i media, ma come spesso succede, dopo un po' di tempo scivolò nel dimenticatoio. Così come fu accantonato presto, a mio parere, anche dai commentatori politici e nelle organizzazioni della stessa sinistra europea, così duramente colpita, e così superficiale da non affrontare fino in fondo quello che era successo. L'elemento su cui il film vuole porre l'attenzione (ed evidenziato dal regista nelle sue interviste a Venezia), è che i contenuti politici dei documenti scritti e delle dichiarazioni dell'attentatore Breivik, all'epoca ritenuti farneticanti, sono di uso comune oggi presso molti leader alla guida di Paesi e Governi. E senza andare molto distante. Paradossalmente anche 22 LUGLIO, ha avuto, nel momento del passaggio alla Mostra del Cinema, un impatto mediatico potente ma troppo rapido. Probabilmente, pur essendo un buon film, ha pagato più di quanto dovuto alcuni suoi difetti, all'interno di una rassegna in cui la media delle pellicole era decisamente alta. Il film inizia potente, nel racconto dell'attentato, mescolando il linguaggio del film d'azione (Greengrass ha diretto parte della saga di Jason Bourne) con quello del film di denuncia. Nella seconda parte risulta forse più lento e retorico, e la scelta di far recitare in inglese gli interpreti crea un po' uno straniamento rispetto alla fedeltà di cronaca. Ciò nonostante, proprio nella seconda parte, e in due personaggi in particolare, il giovane attivista sopravvissuto e l'avvocato che difende il terrorista, troviamo l'appassionata visione del regista su quella che dovrebbe essere la lotta contro il nuovo fascismo globale. Infatti, il giovane e l'avvocato sono apparentemente su due trincee opposte, eppure concorrono entrambi alla difesa della democrazia.
Il ragazzo decide di non rinunciare alla vita e alla testimonianza di quello che ha vissuto e di quelli che sono i suoi valori. Il suo percorso nella riabilitazione fisica e psicologica, è anche il percorso di una società che non vuole rinunciare ai suoi principi. L'avvocato, politicamente schierato a sinistra, decide di accettare quella difesa d'ufficio così ingombrante perché la libertà si fonda anche sul diritto di ognuno ad un processo equo. “Le Democrazie devono vincere con i loro argomenti”, ha dichiarato Paul Greengrass “con le loro idee. Il nazismo non controllato porta alla guerra. Fino a vent'anni fa si poteva contenerlo. Ora questi limiti sono saltati, e la Democrazia non potrà essere difesa solo con le armi. Le idee del terrorista di Utoya sono ora ripetute da molti politici. Dobbiamo essere noi che non siamo d'accordo con questa visione del mondo a dover trovare le motivazioni e le argomentazioni per contrastarla. Rinunciare a questo impegno politico e culturale mette in serio pericolo tutti noi”....