martedì 2 settembre 2008

RECENSIONI MOSTRA CINEMA 4

IL PAPA’ DI GIOVANNA
Di Pupi Avati

Un padre che esercita un controllo quasi opprimente sulla figlia. Un omicidio. Il fascismo sul fondo. Questi gli elementi principali del film di Avati. Per circa cinque minuti è una commedia. Poi si trasforma in giallo. Sembra la forma definitiva, e invece si blocca familiare-psicologico. L’unica domanda è: perché ambientare questa storia durante il fascismo? Almeno si sarebbe potuto evitare una sua rappresentazione un po’ troppo benevola, tra il “si stava meglio quando si stava peggio” e il “fascisti e comunisti sono tutti uguali”. L’unica critica al fascismo seria è quando il personaggio di Greggio parla delle conseguenze delle leggi razziali, salvo poi schierasi con la Repubblica di Salò. I partigiani ci fanno una figura sicuramente peggiore.
E allora perché questa scelta di ambientazione temporale? Una risposta potrebbe essere che il padre padrone potrebbe rappresentare Mussolini, e l’unità della famiglia rappresenterebbe lo stato, che ad un certo punto si lacera (guerra di liberazione), per poi riconciliarsi dimenticando le colpe, gli sbagli, le mancanze del passato, con la frase emblematica pronunciata da Orlando all’uscita da un cinema “questo film non mi piace poi tanto, andiamo via”.
Frase che ho pensato anch’io uscendo dal cinema.

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